Il mondo della luna, libretto, Londra, Woodfall, 1760

 (Amico, state forte). (Piano a Rinaldino)
 TULIA
1050Vogliono la mia morte.
 RINALDINO
 E chi è che vi minaccia?
 FERRAMONTE
 (Non la mirate in faccia). (Come sopra)
 TULIA
 Le donne invidiose,
 superbe, orgogliose,
1055per il desio d’occupar sole il regno,
 ardono fra di lor d’ira e di sdegno.
 RINALDINO
 Ah! Voi pietà mi fate.
 FERRAMONTE
 (Rinaldin, non cascate).
 TULIA
 A voi mi raccomando;
1060deh voi mi difendete.
 FERRAMONTE
 (Forti, non le credete).
 TULIA
 Deh non mi abbandonate.
 FERRAMONTE
 (Forti, non le badate).
 RINALDINO
 La devo abbandonare?
 FERRAMONTE
1065(Un’altra volta vi vorrà ingannare).
 RINALDINO
 Tulia, che pretendete?
 TULIA
 Esser a voi soggetta,
 rinunciar del comando
 ogni ragione a voi.
 RINALDINO
                                     Che far degg’io? (A Ferramonte)
 FERRAMONTE
1070(Prendetela in parola). (A Rinaldino)
 RINALDINO
 Idolo mio, venite; a questa legge
 novamente v’accetto.
 TULIA
 Amor e fedeltà io vi prometto.
 
    Senza temer d’inganni
1075va l’ussignuol talora
 cantando su l’aurora,
 scherzando in libertà.
 
    Co’ suoi perigli in seno
 scherza così quest’alma;
1080io perderò la calma,
 fra’ lacci ei resterà.
 
 SCENA III
 
 RINALDINO e FERRAMONTE
 
 FERRAMONTE
 Io rido come un pazzo
 a veder queste femine umiliate
 venir con un pochino di vergogna
1085come le cagnoline di Bologna.
 RINALDINO
 Amo Tulia e se posso
 sperar d’averla in preda,
 senza far onta al mio viril decoro,
 acquistato il mio core avrà un tesoro.
 FERRAMONTE
1090Sì, ma badate bene
 che poi a poco a poco
 non vi faccia la donna un brutto gioco.
 
    Le donne col cervello
 la sogliono studiar.
1095Principiano bel bello
 coi vezzi ad incantar.
 
    E quando l’uomo è preso
 e quando l’hanno acceso
 si gonfiano, s’inalzano
1100e voglion comandar.
 
 SCENA IV
 
 RINALDINO solo
 
 RINALDINO
 Il periglio passato
 cauto mi ha reso e colla donna accorta
 cieco più non sarò. Tulia peraltro
 non è delle più scaltre,
1105che se tal fosse stata
 questa spada serbata io non avrei,
 per troncare con questa i lacci miei.
 Onde amarla poss’io senza timore
 che ingannare mi voglia il di lei cuore.
 
1110   Chi troppo ad amor crede
 si vede ad ingannar
 ma il sempre dubitar
 tormento è assai maggior.
 
 SCENA V
 
 AURORA e GRAZIOSINO
 
 GRAZIOSINO
 Non ne vuo’ sapere.
 AURORA
                                       Io son perduta,
1115se voi mi abbandonate.
 GRAZIOSINO
 Siete femine tutte indiavolate.
 AURORA
 Il regno delle donne
 distruggendo si va.
 GRAZIOSINO
 Causa la vostra troppa vanità.
 AURORA
1120Ma voi mi lascierete
 al furore degli uomini in balia?
 GRAZIOSINO
 Io sono schiavo di vusignoria.
 AURORA
 Graziosino, pietà.
 GRAZIOSINO
                                   (Mi sento movere).
 AURORA
 Abbiate compassione.
 GRAZIOSINO
1125(Mi si scalda il polmone).
 AURORA
 Se volete ch’io mora, morirò.
 GRAZIOSINO
 Ah! Se voi morirete, io crepperò.
 AURORA
 Dunque...
 GRAZIOSINO
                      Dunque son vostro.
 AURORA
 Mi salverete voi?
 GRAZIOSINO
                                  Vi salverò.
 AURORA
1130E mi amerete poi?
 GRAZIOSINO
                                     Sì, io v’amerò.
 AURORA
 
    Che bel regnar contenta
 nel cuor del caro bene
 e senza amare pene
 godere e giubilar.
 
1135   Noi donne siamo nate
 per esser onorate
 ma non per comandar.
 
 SCENA VI
 
 GRAZIOSINO, poi CINTIA
 
 GRAZIOSINO
 Colui di Ferramonte
 m’ha consigliato ad essere crudele
1140ma, se una donna poi gli andasse appresso,
 come un poltron ci cascherebbe anch’esso.
 CINTIA
 Lupi, tigri, leoni,
 gattipardi, pantere, orsi e mastini
 mi sento a divorar negl’intestini.
 GRAZIOSINO
1145Ecco qui un altro imbroglio.
 CINTIA
 Fermate; è mio quel soglio,
 io vi voglio salir. Ma Giove irato
 mi fulmina e precipita
 e la terra mi affoga e il mar mi accoppa.
1150Ahimè, mi danno un maglio sulla coppa.
 GRAZIOSINO
 Questa è pazza davvero.
 CINTIA
 Buongiorno, cavaliero.
 GRAZIOSINO
 Schiavo, padrona mia.
 CINTIA
 Andate col malan che il ciel vi dia.
 GRAZIOSINO
1155(Ha perduto il cervello).
 CINTIA
 Perfido, tu sei quello
 che vuol rapirmi il trono?
 Vattene o ti bastono.
 GRAZIOSINO
                                        Io non so nulla.
 CINTIA
 
    Il capo mi frulla,
1160la testa sen va.
 La la laranlella
 la lan laranlà.
 
 GRAZIOSINO
 Quando in capo alle donne
 entran di dominar le frenesie,
1165si vedono da lor mille pazzie.
 CINTIA
 Olà, tu sei mio schiavo.
 GRAZIOSINO
                                             Sì signora.
 CINTIA
 Accostati.
 GRAZIOSINO
                     Son qui.
 CINTIA
                                       Vanne in malora.
 GRAZIOSINO
 La femina tradir non può l’usanza
 e anche pazza mantien la sua incostanza.
 CINTIA
1170Olà suddito altero
 del mio sovrano impero,
 mi conosci, briccon, sai tu chi sono?
 Inginocchiati al trono;
 giurami fedeltà con obbedienza;
1175abbassa il capo e fammi riverenza.
 GRAZIOSINO
 Eh via che siete pazza.
 CINTIA
                                            Ah temerario,
 così parli con me!
 Giurami fedeltade a tuo dispetto
 o ch’io ti caccio questo stile in petto.
 GRAZIOSINO
1180Piano, piano, son qui, tutto farò.
 CINTIA
 Giurami fedeltà.
 GRAZIOSINO
                                  La giurerò.
 
    Giuro... signora sì.
 Ma cosa ho da giurar?
 Giuro... (che via di qui
1185procurerò d’andar).
 
    Fermate, giuro, giuro
 servirvi, obbedirvi,
 piacervi, vedervi,
 amarvi, onorarvi
1190e irvi, irvi, arvi
 con tutta fedeltà.
 
 SCENA VII
 
 CINTIA, poi GIACINTO
 
 CINTIA
 Ah ch’è un piacer soave
 della donna tener gl’uomini sotto.
 Ma ohimè veggo distrutta
1195questa nostra grand’opra
 e gl’uomini vuon star a noi di sopra.
 GIACINTO
 Viva il sesso virile;
 la schiatta feminile
 finalmente ha da star soggetta a noi.
 CINTIA
1200Giacinto.
 GIACINTO
                    Che bramate?
 CINTIA
 Voglio che voi mi amate.
 GIACINTO
                                                Questo «voglio»
 a voi, signora, non sta bene in bocca,
 perché alle donne comandar non tocca.
 CINTIA
 Ma voi siete mio schiavo.
 GIACINTO
                                                 Schiavo io fui,
1205è ver, della bellezza
 ma veggo alfin che la bellezza nostra
 è assai migliore e val più della vostra.
 CINTIA
 Dunque voi mi lasciate?
 GIACINTO
 Se l’amor mio bramate,
1210pregatemi, umiliatevi,
 abbassate l’orgoglio e inginocchiatevi.
 CINTIA
 E così vil sarò?
 GIACINTO
                              Più non sperate
 amor da me né ch’altri amar vi voglia,
 se negate di usar questa obbedienza.
 CINTIA
1215(Farlo mi converrà, per non star senza).
 
    Eccomi al vostro piede
 pietade a domandar.
 
 GIACINTO
 
    Impari chi la vede
 le donne ad umiliar.
 
 CINTIA
 
1220   Ma troppo vil son io.
 
 GIACINTO
 
 Se non volete, addio.
 
 CINTIA
 
 Fermate.
 
 GIACINTO
 
                    Voglio andar.
 
 CINTIA
 
    Via, caro Giacintino, (S’inginocchia)
 tornatemi ad amar.
 
 GIACINTO
 
1225   Il sesso feminino
 si venga ad ispecchiar.
 
 CINTIA
 
    Ma questo mai non fia.
 
 GIACINTO
 
 Buondì a vusignoria. (Vuol partire)
 
 CINTIA
 
 Fermatevi.
 
 GIACINTO
 
                        Pregatemi.
 
 CINTIA
 
1230Ohimè che crudeltà!
 
 GIACINTO
 
 Rispetto ed umiltà.
 
 CINTIA
 
    Caro il mio bambolo
 per carità.
 
 GIACINTO
 
    Mi sento movere
1235tutto a pietà.
 
 A DUE
 
    Visetto amabile,
 siete adorabile;
 il mio cuor tenero
 vi adorerà.
 
 SCENA ULTIMA
 
 Luogo dilizioso e magnifico, destinato per piacevole trattenimento delle femine dominanti.
 
 CORO DI DONNE
 
1240   Pietà, pietà di noi;
 voi siete tanti eroi,
 pietà, di noi pietà.
 
 RINALDINO
 Se cedete l’impero,
 se a noi voi vi arrendete,
1245pietà nel nostro cor ritroverete.
 TULIA
 Tutto io cedo e m’arrendo
 e la pietà dal vostro core attendo.
 CORO (Come sopra)
 
    Pietà, pietà di noi,
 voi siete tanti eroi!
1250Pietà, di noi pietà.
 
 AURORA
 Graziosino, son vostra.
 GRAZIOSINO
 Ed io vi accetterò.
 Vi terrò, v’amerò, vi sposerò.
 CINTIA
 E voi, Giacinto mio,
1255cosa di me farete?
 GIACINTO
 Quel che di voi farò lo sentirete.
 FERRAMONTE
 Lode al ciel, finalmente s’è veduto
 che Il mondo alla roverscia
 durare non potea
1260e che da sé medesime
 in rovina si mandano
 le donne superbette che comandano.
 CORO DI DONNE
 
    Pietà, pietà di noi;
 voi siete tanti eroi!
1265Pietà, di noi pietà.
 
 CORO DI UOMINI
 
    Pietà voi troverete,
 allorché abbasserete
 la vostra vanità.
 
 TUTTI
 
    Le donne che comandano
1270è Il mondo alla roverscia
 che mai non durerà.
 
 Fine del dramma
 
 
 IL MONDO ALLA ROVERSA O SIA LE DONNE CHE COMANDANO
 
 
    Dramma giocoso per musica di Polisseno Fegeio, pastor arcade, da rappresentarsi nel teatro Formagliari il carnovale dell’anno MDCCLVI.
    In Bologna, per il Sassi successore del Benacci, con licenza de’ superiori.
 
 
 PERSONAGGI
 
 PARTI SERIE
 
 TULLIA
 (signora Giovanna Baglioni)
 RINALDINO
 (signora Violante Masi)
 
 PARTI BUFFE
 
 CINTIA
 (signora Clementina Baglioni)
 AURORA
 (signora Anna Zannini)
 GRAZIOSINO
 (signor Francesco Baglioni)
 GIACINTO
 (signor Francesco Carattoli, virtuoso di musica di sua altezza serenissima il signor duca di Modena)
 FERRAMONTE
 (signor Giacomo Caldinelli)
 
    La musica è del celebre signor Baldassare Galuppi detto Buranello.
 
 
    Li balli sono d’invenzione e direzione di monsieur Giovan Michele Costa, eseguiti dalli seguenti: signora Giovanna Grisellini detta la Tintoretta, signora Elena Buttini, signora Lucia Lolli detta la Bergamasca, signora Anna Goresi, signora Marianna Valsecchi, monsieur Giovan Michele Costa suddetto, signor Gaetano Pacini, signor Giovanni Belmonte, signor Petronio Cenerini, signor Francesco Pacini.
    Il vestiario è tutto nuovo d’invenzione e disegno del signor Pietrantonio Biagi di Bologna.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: campagna spaziosa; appartamenti nobili nel palazzo delle femine dominanti.
    Nell’atto secondo: camera preparata per il feminile consiglio; deliziosa alla riva del mare, il quale formando un seno nel lido offre comodo sbarco a piccoli legni; camera.
    Nell’atto terzo: appartamenti nobili; luogo magnifico e delizioso destinato al divertimento delle donne primarie.
    La scena si rappresenta in una isola degli antipodi.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Campagna spaziosa con carro trionfale tirato da vari uomini.
 
 TULLIA, CINTIA, AURORA, precedute da coro di donne, le quali portano seco loro delle catene e delle vittoriose insegne. Mentre si canta il coro gli uomini s’incatenano
 
 TULLIA, CINTIA, AURORA
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
 CORO
 
    Non fa scorno e non dà pena
 volontaria schiavitù.
 
 TULLIA
5Ite all’opre servili
 e partite fra voi le cure e i pesi.
 Altri alla rocca intesi,
 altri all’ago, altri all’orto o alla cucina,
 dove il nostro comando or vi destina.
 AURORA
10Obbedite, servite e poi sperate,
 che il regno delle donne
 è di speranza pieno;
 se goder non si può, si spera almeno.
 CINTIA
 E chi vive sperando,
15per sua felicità muore cantando.
 CORO
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
    Non fa scorno e non dà pena
 volontaria schiavitù. (Partono gli uomini incatenati, condotti dalle donne. Le tre suddette scendono dal carro, il quale si fa retrocedere per la parte dond’è venuto)
 
 SCENA II
 
 TULLIA, CINTIA e AURORA
 
 TULLIA
20Poiché del viril sesso
 abbiam noi sottomesso il fier orgoglio
 tener l’abbiamo incatenato al soglio.
 Ma quai credete voi,
 mie fedeli compagne e consigliere,
25fian migliori i progetti,
 gli uomini per tenere a noi soggetti?
 CINTIA
 Questo nemico sesso,
 di natura superbo e orgoglioso,
 scuote e lacera il fren, quand’è pietoso.
30Col rigor, col disprezzo,
 soglion le scaltre donne
 tener gli uomini avvinti e incatenati.
 Se sono innamorati
 tutto soglion soffrire; e quando sono
35più sprezzanti le donne e più crudeli,
 essi son più pazienti e più fedeli.
 AURORA
 È ver, ma crudeltà consuma amore.
 Il consiglio migliore
 credo sia il lusingarli;
40finger ognor d’amarli,
 accenderli ben bene a poco a poco
 e poi del loro amor prendersi gioco.
 TULLIA
 Né troppo crude né pietose troppo
 essere ci convien, poiché il disprezzo
45eccita la pietà soverchio usata.
 La fierezza è temuta e non amata.
 Regoli la prudenza
 il feminile impero.
 Or clemente, or severo
50il nostro cor si mostri
 ed il sesso virile a noi si prostri.
 CINTIA
 Ognun pensi a suo senno; io vuo’ costoro
 aspramente trattar; voglio vederli
 piangere, sospirare,
55fremere, delirare;
 e vuo’ che, dopo un lungo
 e amaro aspro servire,
 vuo’ vederli, se posso, anche morire. (Parte)
 
 SCENA III
 
 TULLIA ed AURORA
 
 TULLIA
 Aurora, ah non vorrei
60che per troppo voler s’avesse a perdere
 l’acquistato finor dominio nostro.
 Donne alfin siamo e a noi
 forza non diè natura
 che nei vezzi, nei sguardi e in le parole.
65Spade e lancie trattar, loriche e scudi,
 non è cosa da noi. Se l’uom si scuote,
 val più un braccio di lui che dieci destre
 di femine vezzose e tenerelle
 ch’hanno il loro potere in esser belle.
 AURORA
70Tullia, voi, per dir vero,
 saggiamente parlate e a voi la sorte
 diè sesso feminile
 ma il senno ed il saper più che virile.
 Anzi madre natura
75alla breve statura
 del vostro corpo graziosetto e bello
 ha supplito con darvi assai cervello,
 indi la madre vostra
 vi diè il nome di Tullia con ragione,
80poiché sembrate un Tullio Cicerone.
 TULLIA
 Raguniamo il consiglio.
 Facciam che stabilite
 siano leggi migliori, onde si renda
 impossibile a l’uom scuotere il giogo.
85Che se l’uomo ritorna ad esser fiero
 farà strage crudel del nostro impero.
 
    Leon, che a straggi aspira
 in mezzo a notte oscura,
 se lo splendor rimira
90di luminosa face,
 perde l’ardir loquace,
 comincia a palpitar.
 
    Quando vedran quelli empi
 del loro ardir li scempi,
95così dovran tremar.
 
 SCENA IV
 
 AURORA, poi GRAZIOSINO
 
 AURORA
 Che piacer, che diletto
 può recar alla donna il fier rigore!
 Il trattar con amore
 gl’uomini a noi soggetti
100soffrir li fa la servitude in pace
 e la femina gode e si compiace.
 Io fra quanti son presi ai lacci nostri
 amo il mio Graziosino,
 amoroso, fedele e semplicino,
105e lo tratto, perché mi adori e apprezzi,
 con soavi parole e dolci vezzi.
 Elà. (Esce un servo) Venga qui tosto
 Graziosino, lo schiavo a me soggetto. (Parte il servo)
 Infatti il poveretto
110merita ch’io gli faccia buona ciera,
 se mi serve e mi fa da cameriera.
 Eccolo ch’egli viene. Ehi Graziosino.
 GRAZIOSINO
 Signora. (Viene facendo le calze)
 AURORA
                    Cosa fate?
 GRAZIOSINO
 Lavoro in fretta in fretta
115e in tre mesi ho fatt’io mezza calzetta.
 AURORA
 Lasciate il lavorar. Venite qui.
 GRAZIOSINO
 Bene, signora sì.
 AURORA
 Obbedirete sempre i cenni miei?
 GRAZIOSINO
 Io faccio quello che comanda lei.
 AURORA
120Caro il mio Graziosino,
 siete tanto bellino.
 GRAZIOSINO
 Mi fate vergognar.
 AURORA
                                     Vi voglio bene;
 e vederete del mio amore il frutto.
 GRAZIOSINO
 Queste parole mi consolan tutto.
 AURORA
125Via, guardatemi in viso.
 GRAZIOSINO
                                               Gnora sì.
 AURORA
 Perché voi mi piacete,
 vi fo queste finezze.
 GRAZIOSINO
 Oh benedette sian le mie bellezze!
 AURORA
 Ma vuo’ che siate attento
130a servirmi qualora vi comando.
 La mattina per tempo
 mi recarete il cioccolato al letto;
 mi scaldarete i panni;
 mi dovrete allestir la tavoletta;
135starete in anticamera aspettando
 per entrar il comando;
 e se verranno visite a trovarmi
 voi dovrete avvisarmi
 e come fanno i buoni servitori
140voi dovrete aspettar e star di fuori.
 GRAZIOSINO
 Di fuori?
 AURORA
                    Vi s’intende.
 GRAZIOSINO
 E dentro?
 AURORA
                      Signor no.
 Aspettar voi dovrete.
 GRAZIOSINO
                                         Aspetterò.
 AURORA
 Se farete così vi vorrò bene.
 GRAZIOSINO
145Sì, cara, farò tutto.
 Farò la cameriera;
 farò la cuciniera;
 farò tutte le cose più triviali;
 laverò le scudelle e gli orinali.
 AURORA
150In cose tanto abiette
 impiegarvi non vuo’. Voi siete alfine
 il mio caro, il mio bello,
 il mio amor tenerello,
 il mio fedele amato Graziosino,
155tanto caro al mio cor, tanto bellino.
 
    Quegli occhietti sì furbetti
 m’hanno fatta innamorar;
 quel bocchino piccinino
 mi fa sempre sospirar;
 
160   caro il mio bene,
 dolce mia spene,
 sempre sempre
 ti voglio amar.
 
    (Ei gode tutto
165e questo è il frutto
 della lusinga.
 Ami o lo finga
 donna che vuole
 l’uomo incantar).
 
 SCENA V
 
 GRAZIOSINO solo
 
 GRAZIOSINO
170Oh che gusto, oh che gusto! Ah che mi sento
 andar per il contento il cor in brodo.
 Graziosin fortunato! Oh quanto io godo.
 Non si può dar nel mondo
 piacer che sia maggiore
175d’un corrisposto amore. Aman le belve,
 amano i sordi pesci, aman gli augelli,
 le pecore e gli agnelli;
 amano i cani e i gatti
 e quei che amar non san son tutti matti.
 
180   Quel caro visetto,
 quei lucidi occhietti,
 quel fulgido aspetto,
 quel bel portamento,
 la grazia, quel brio,
185Aurora graziosa
 mi fa innamorar.
 
    Oh poveri uomini?
 D’amore e rancore
 vi vedo crepar.
 
 SCENA VI
 
 Camera.
 
 GIACINTO collo specchio in mano guardandosi con caricatura e poi CINTIA
 
 GIACINTO
 
190   Madre natura,
 tu m’hai tradito
 ma t’ho schernito
 col farmi bello
 con il pennello,
195come le donne
 sogliono far.
 
 Questa parucca invero,
 questo cappel, che colla polve è intriso,
 fa risaltar mirabilmente il viso.
200Al ragirar di queste
 mie vezzose pupille
 spargo fiamme e faville; e questa bocca,
 che sembra agli occhi miei graziosa e bella,
 fa tutte innamorar quando favella.
205Queste donne son tutte
 invaghite di me; schiavo son io
 di queste belle, è vero,
 ma sovra il loro cor tutt’ho l’impero.
 Ecco la vaga Cintia. Presto, presto,
210il nastro, la parucca, i guanti, tutto,
 tutto assetar conviene e gli occhi e il labro,
 colle dolci parole e i dolci sguardi,
 si prepari a vibrar saette e dardi.
 CINTIA
 (Ecco il bell’amorino). (Ironicamente)
 GIACINTO
215Mia sovrana, mio nume, a voi m’inchino.
 CINTIA
 E ben, che fate qui?
 GIACINTO
                                       Qual farfalletta
 d’intorno al vostro lume
 vengo, mia bella, a incenerir le piume.
 CINTIA
 Parmi con più ragione
220vi potreste chiamare un farfallone.
 GIACINTO
 Quella vezzosa bocca
 non pronuncia che grazie e bizzarie.
 CINTIA
 La vostra non sa dir che scioccherie.
 GIACINTO
 Deh lasciate ch’io possa
225coll’odoroso fiato
 de’ miei caldi sospiri
 quelle belle incensar guancie adorate.
 CINTIA
 Andate via di qua; non mi seccate.
 GIACINTO
 Ah, se sdegnate, o bella,
230i fumi del mio cor, porterò altrove
 il mio guardo, il mio piede,
 il mio affetto sincero e la mia fede.
 CINTIA
 Olà, così si parla?
 Voi staccarvi da me! Voi d’altra donna
235servo, schiavo ed amante?
 Temerario, arrogante.
 Voi dovete soffrir le mie catene.
 GIACINTO
 Qual mercede averò?
 CINTIA
                                          Tormenti e pene.
 GIACINTO
 Giove, Pluton, Nettuno,
240dei tremendi e possenti,
 voi che udite gli accenti
 d’una donna spietata,
 spezzate voi questa catena ingrata.
 Sì sì, Nettun m’inspira,
245Giove mi dà valore;
 Pluto mi dà furore,
 perfida tirannia,
 umilmente m’inchino e vado via.
 CINTIA
 Fermatevi; ed avrete
250tanto cor di lasciarmi?
 Voi diceste d’amarmi,
 di servirmi fedel con tutto il core;
 ed ora mi lasciate? Ah traditore!
 GIACINTO
 Ma se voi mi sprezzate,
255se voi mi dileggiate,
 come s’io fossi un uom zotico e vile,
 e studio invan di comparir gentile.
 CINTIA
 Senza studiar voi siete
 abbastanza gentil, grazioso e bello.
260Quell’occhio briconcello,
 quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
 m’hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
 GIACINTO
 Dunque, cara, mi amate.
 CINTIA
                                                Sì, v’adoro.
 GIACINTO
 Idol mio, mio tesoro,
265lingua non ho bastante
 per render grazie al vostro dolce amore.
 Concedete il favore
 che rispettosamente
 e umilissimamente
270io vi possa baciar la bella mano.
 CINTIA
 Oh signor no; voi lo sperate invano.
 GIACINTO
 Ma perché mai? Perché?
 CINTIA
 Queste grazie da me
 non si han sì facilmente.
 GIACINTO
275Io morirò.
 CINTIA
                      Non me n’importa niente.
 GIACINTO
 Dunque, se non v’importa,
 d’altra bella sarò.
 CINTIA
                                  Voi siete mio.
 GIACINTO
 Che ne volete far?
 CINTIA
                                    Quel che vogl’io.
 GIACINTO
 Ah quel dolce rigor più m’incatena!
280Soffrirò la mia pena,
 morirò, schiatterò, se lo bramate.
 Basta, bell’idol mio, che voi mi amate.